a cura di Francesco Paolo Romeo[1]
Il flip teaching è una metodologia didattica che negli ultimi anni si sta positivamente diffondendo soprattutto nel mondo della scuola.
La traduzione letterale del termine flipped classroom significa classe capovolta, e con esso si intende una modalità di insegnamento (e di apprendimento) supportata da contenuti digitali dove tempi e schema di lavoro sono invertiti rispetto alle tradizionali modalità. Quest’ultimo, infatti, prevede un primo momento di spiegazione, dove l’insegnante svolge una lezione in aula alla classe, seguito da un secondo momento dove gli studenti svolgono i compiti individualmente a casa.
Viceversa, nel modello flipped il primo momento consiste nell’apprendimento autonomo da parte di ogni studente, dove l’ausilio di strumenti multimediali risulta particolarmente efficace e produttivo, che avviene all’esterno delle aule scolastiche. Il secondo momento prevede che le ore di lezione di aula vengano utilizzate dall’insegnante per svolgere una didattica personalizzata fortemente orientata alla messa in pratica delle cognizioni precedentemente apprese, dove la collaborazione e la cooperazione degli studenti sono aspetti che assumono centralità.
Conseguentemente, la flipped classroom produce un ribaltamento dei ruoli tra insegnanti e studenti, dove il controllo pedagogico del processo vira decisamente dall’insegnante agli studenti. In altri termini, nell’assumere centralità nel processo dell’apprendere, gli studenti sono chiamati ad assumere maggiore autonomia e responsabilità riguardo al proprio successo formativo, mentre l’insegnante assume il compito di guidarli nel loro percorso educativo.
I fondamenti teorici del modello traggono spunto da idee non certo nuove. Tra queste, dall’attivismo pedagogico di Dewey (1949) e dal pensiero di Montessori (1950), che trovano continuità nell’approccio costruttivista dell’apprendimento (Maglioni e Biscaro, 2014).
Per attivismo pedagogico, si intende quel movimento di rivoluzione educativa diffusosi all’inizi del secolo scorso che mirava alla diffusione di un’idea di scuola non convenzionale dove lo studente era chiamato a divenire protagonista autentico del proprio apprendimento. Questa corrente di pensiero, infatti, è attenta allo sviluppo di capacità critiche e di ragionamento dell’allievo, stimolando la pratica attiva e l’esperienza diretta, in opposizione all’immagazzinamento di nozioni tipici dei processi mnemonici.
Il metodo Montessori, in particolare, richiama che l’allievo deve essere libero di sperimentare direttamente, di esprimere la propria creatività, di coltivare i propri interessi autentici, di avere padronanza di sé in senso integrale.
In una flipped classroom la responsabilità del processo di insegnamento viene dunque trasferita agli studenti in modo significativamente maggiore rispetto alla tradizionale modalità. In particolare, gli allievi possono controllare l’accesso ai contenuti in modo diretto, avere a disposizione i tempi necessari per l’apprendimento e la valutazione. Il ruolo del docente sarà quello di “guida” che incoraggia gli studenti alla ricerca personale e alla collaborazione e condivisione dei saperi appresi.
La flip classroom è una strategia didattica a orientamento problematicista, narrativo e serendipitoso, sull’assunto che l’insegnamento tradizionale può essere arricchito dall’utilizzo efficace delle nuove tecnologie, dove il soggetto in base alle risorse apprenditive di cui dispone, può personalizzare sia l’apprendimento, sia il percorso di ampliamento delle sue competenze che non essendo esclusivamente circoscrivibili alle abilità e conoscenze tecniche, è possibile metaforicamente rappresentare come un «diamante dalle molte facce» (Paparella, 2014).
Pertanto, trasferita ai discenti la responsabilità del loro percorso, che si svolge più a casa che a scuola tramite video presenti in Internet o realizzati “ad hoc” dai docenti, dove a questi ultimi spetta assicurare sostegno. Il richiamo è allo scaffolding di bruneriana memoria (Wood, Bruner & Ross, 1976).
Scaffolding inteso qui come costruzione di una simbolica “impalcatura” dove i “puntelli didattici” (ad es. software di scrittura collettiva, scrittura creativa ecc.), rafforzano le condizioni indispensabili per progettare in modo auto-determinato (Di Fabio, 1998) produttive esplorazioni del mondo e della cultura.
Esaminando più da vicino come funziona una classe capovolta, va detto sin d’ora che non esiste un’unica strategia didattica per realizzare una flipped classroom. Per questo motivo è utile svolgere una breve rassegna.
Il Traditional Flipped, si configura come il metodo più utilizzato. In questo caso gli studenti guardano un video della lezione, imparano a casa e svolgono i classici compiti in classe insieme agli altri compagni, sotto la guida del docente.
Il Flipped Mastery è un’evoluzione diretta del capovolgimento tradizionale. In questo caso gli studenti lavorano individualmente e non in gruppo, rivedono la lezione a casa e utilizzano le ore in classe per effettuare esercizi in presenza dell’insegnante che attribuisce loro una valutazione. Quando almeno l’80% degli studenti ha raggiunto una valutazione positiva, è possibile passare all’obiettivo successivo, altrimenti è necessario soffermarsi ulteriormente su quanto trattato, assicurando azioni di rinforzo.
La Peer Instruction Flipped Classroom prevede che gli studenti studino i materiali di base forniti dal docente al di fuori della classe, mentre dibatto in classe i nodi concettuali appresi. In questo dibattito il docente modera e valuta l’apprendimento dei concetti appesi dagli studenti, che possono anche aiutarsi a vicenda, in quanto spesso i concetti più complessi richiedono una maggiore concentrazione anche da parte di chi li ha successivamente compresi e quindi, alla luce delle difficoltà superate, possono rendersi più disponibili verso chi ancora manifesta il loro stesso problema.
La Problem Based Learning Flipped Classroom prevede l’esplorazione di un problema tra gli studenti e il confronto sulle strategie risolutive. In questo caso gli studenti possono lavorare singolarmente o in team, consapevoli del fatto che le loro strategie dovranno essere discusse in classe, in una fase successiva. Il docente modera il processo valutando i progressi compiuti dagli studenti.
In tutte le strategie illustrate le tecnologie assumono centralità (Strayer, 2012). In particolare, facilitano soffermarsi sui concetti dal momento che in classe, durante la lezione tradizionale, è sempre difficile prendere nota della spiegazione del docente che, anche quando registrata su un supporto audio-digitale, richiede una successiva e onerosa operazione di sbobinatura. In questo modo il docente assume maggiore consapevolezza sugli obiettivi apprenditivi raggiunti dagli allievi, operando opportune azioni di rinforzo.
Il modello della classe capovolta determina modificazioni rispetto a tutte le dimensioni del processo formativo. Non soltanto a livello progettuale e realizzativo, come finora è stato detto, ma anche valutativo.
In particolare, riguardo alla valutazione formativa. Questa valutazione ha lo scopo di accertare in modo analitico, durante i processi di apprendimento in essere, quali abilità l’allievo sta acquisendo; le prove di verifica riguardano brevi segmenti del percorso e concorrono alla formulazione del giudizio finale.
Nel modello flipped, la valutazione si configura come maggiormente autentica rispetto a quella tradizionale, per il fatto che tutte le attività svolte sia in classe sia all’esterno, forniscono un monitoraggio costante circa i progressi compiuti dallo studente.
Come per tutti le strategie didattiche, anche la flipped classroom presenta punti di forza e di debolezza (Maglioni e Biscaro, 2014). Riguardo a questi ultimi, uno tra gli aspetti più importanti è la cosiddetta equità tecnologica, nel senso che non è possibile prevedere o stabilire a priori che tutti gli studenti dispongono di attrezzature tecnologiche adeguate, quali un personal computer o una connessione ad Internet. Aspetti che riguardano gli stessi insegnanti, considerato che ancora molti tra questi possono essere considerati tecnologicamente non sempre preparati all’impegno che la flipped classroom implicitamente richiede ad essi.
BIBLIOGRAFIA
Dewey J., Esperienza e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1949.
Di Fabio A., Psicologia dell’orientamento. Problemi, metodi e strumenti, Giunti, Firenze, 1998.
Maglioni, Biscaro (2014), La classe capovolta. Innovare la didattica con la flipped classroom, Erickson, Trento.
Montessori M. (1950), La scoperta del bambino, Garzanti, Milano.
Paparella N. (2014), L’agire didattico, Guida, Napoli.
Romeo F.P. (2016), Bisogni educativi speciali dei minori tra memoria e competenza narrativa, “Pedagogia Più Didattica. Teorie e pratiche educative”, 2, 1, Manni, Lecce.
Romeo F.P. (2008), Formare stressando: per una didattica della tensione, “Studi e Ricerche”, 16.
Romeo F.P. (2014), La memoria come categoria pedagogica, Libellula, Tricase (LE) 2014.
Romeo F.P., Le tecnologie come “puntelli didattici” nelle esperienze di supporto all’apprendimento (in press).
Santoianni F. (2006), Educabilità cognitiva. Apprendere al singolare, insegnare al plurale, Carocci, Roma.
Strayer J.F. (2012), How Learning in an Inverted Classroom Influences Cooperation, Innovation and Task Orientation, ” Learning Environments Research” 15, 2, pp. 171–193.
Wood D., Bruner J.S., Ross G. (1976), The Role of Tutoring in Problem Solving, “Journal of Child Psychology and Psychiatry”, 17, pp. 89-100.
[1] Francesco Paolo Romeo è Professore a contratto di Didattica Generale presso l’Università Telematica Pegaso di Napoli. Giudice onorario minorile presso il Tribunale per i Minorenni di Taranto e Dottore di Ricerca in Pedagogia dello Sviluppo.